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    Motherese: la lingua che usano le mamme stimola il cervello dei più piccoli

    Come parliamo con il nostro bambino?

     

    Come se fosse un adulto oppure imitando la sua voce di bebé? E’ scientificamente riconosciuto che usare il linguaggio del bebé è naturale, normale ed istintivo e il bimbo ne è felice. La voce crea un legame profondo (Fonte: Bellagamba, Cassibba, Sicurezza dell’attaccamento e lessico mentale, Psicologia Clinica dello Sviluppo/ a. XIV, n.3, dicembre 2010). L’aspetto educativo e cognitivo della voce, della melodia e dell’armonia usate dalla mamma e dal papà nascono per rincuorare il proprio bimbo.

    Mamma che parla dolcemente al suo bebè

    Le parole hanno una forte carica affettiva sia per chi le pronuncia sia per chi le riceve. Giocare col timbro e il volume della voce, usando la mimica e la postura, verrà percepito dal vostro bambino come un segnale di rassicurazione e comprensione. E questo è quel che più conta. A ogni mamma viene istintivo parlare questo linguaggio quando si trova vicino al suo piccolino. E’ un linguaggio basato essenzialmente sulla semplicità e sulla componente affettiva. Il termine per la lingua che parlano le mamme per comunicare con i piccoli (Fonte: A. Fonzi, Manuale di psicologia dello sviluppo, Guanti Edizioni) è il motherese, detto anche baby talk (traducibile in italiano con maternese o madrese). Il pediatra Brazelton (Fonte: Joshua D. Sparrow and T. Berry Brazelton, Touchpoints Three to Six: Your Child’s Emotional and Behavioral Development Book, 2001) è un grande sostenitore del motherese e garantisce che non vi siano pericoli sui futuri sviluppi del linguaggio da parte del bambino.

     

    Caratteristiche del motherese

     

    Il modo in cui gli adulti (in particolare le mamme) parlano ai loro bimbi (in un’età compresa fra i 18 e i 36 mesi) è molto diverso da quello che gli adulti utilizzano fra di loro. Il motherese non lo si impara a scuola, eppure le parole ripetute e cadenzate, gli sguardi intensi e le semplici frasi che lo caratterizzano fanno sì che possa essere considerata una variante della lingua con una sua sintassi, un vocabolario e una sua tipica gestualità. Quando le mamme lo usano, la loro voce assume una tonalità più alta del solito e con un andamento quasi musicale. Molti ricercatori (Fonte: Saito Y, Aoyama S, Fukamoto R, et al. Frontal cerebral flow change associated with infant-directed speech. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2007;92:F113-6) hanno dimostrato che con i neonati la voce materna arriva dove non può arrivare quella di nessuno altro, ovvero in quelle zone del cervello connesse allo sviluppo delle emozioni, anche durante il sonno. La voce della mamma ha un potere enorme sul neonato, tanto da influenzarne il futuro sviluppo emozionale.

     

    Il motherese e i papà

     

    Che dire del linguaggio dei padri o degli adulti non genitori? Secondo una ricerca della Washington State University (Fonte: VanDam, M., De Palma, P., Strong, W. E., 2015. Fathers’ use of fundamental frequency in motherese. Poster presented at the 169th Meeting of the Acoustical Society of America, Pittsburgh, PA) i papà non sono proprio portati al motherese, ad esempio non cambiano l’intonazione della voce. Mark VanDam, autore della ricerca rassicura però, dicendo che non è un difetto dei papà, anzi “loro fanno cose favorevoli all’apprendimento dei figli, ma in un modo diverso“. Dove non arriva un genitore, arriva l’altro. Insomma, ci si completa a vicenda. La ricerca sostiene in conclusione che il deficit di motherese dei papà non rappresenta un problema perché entrambi gli approcci fanno bene allo sviluppo del linguaggio dei bimbi.
    Se sull’origine della intelligenza umana è ancora mistero fitto, il motherese appare come il faro nella nebbia per molti studiosi (Fonte: Ricercatori dell’Università di Washington e di quella del Connecticut. Studio pubblicato sulla rivista Developmental Science)  che raccomandano le conversazioni a tu per tu dei genitori con i propri bimbi in motherese come fondamentali per l’apprendimento.

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