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    Baby Blues: cos’é e come affrontarlo

    Se di ritorno dall’ospedale con il vostro tanto atteso piccolino vi capita di sentire un senso d’ansia e di tristezza, se sentite il bisogno di lasciarvi andare al pianto e salire senza motivo lo sconforto, la paura e l’ansia di non farcela… state tranquille, è tutto normale!

     

    La maggioranza delle neomamme (si stima circa il 70 per cento. Fonte: “Il Grande Libro della Gravidanza” Laura de Laurentiis. Rizzoli) nei giorni immediatamente successivi al parto soffre i sintomi del cosiddetto baby blues, un momentaneo stato di malessere e malumore che non compromette però la capacità di prendersi cura del neonato.

     

    Si tratta di una sindrome passeggera, i cui sintomi non sono molto diversi da quelli di una vera e propria depressione post partum, la cui entità e gravità sono però ben altre. Il baby blues, termine coniato dal pediatra e psicoanalista Donald Winnicott (Fonte: Winnicott D. W. (1956) La preoccupazione materna primaria in Through Pediatrics to Psycho-Analysis. Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli, Firenze, 1975) per segnalare il disagio della neomamma, è infatti un episodio di disagio del tutto fisiologico che tende a esaurirsi nel giro di alcuni giorni e a scomparire del tutto con la fine del periodo del puerperio. Vediamo ora nel dettaglio i fattori fisici e psicologici a cui si lega e i modi per superarlo al meglio.

     

    Le cause del baby blues

     

    Trattandosi di uno stato transitorio considerato normale nel percorso della maternità, è piuttosto semplice identificarne le cause fisiche oggettive. Occorre però ricordare come questi motivi s’intreccino, e a volte si complichino, con il vissuto soggettivo di ciascuna donna, rendendo tale periodo un momento delicato e peculiare, da non sottovalutare e da tenere sotto osservazione. In generale, a incidere per tutte, anche se non in egual misura, sono:

    Mamma con neonato

    • la fatica del travaglio e del parto: lo sforzo fisico e psicologico sostenuto per far nascere il proprio bambino, ma anche postumi del parto tutt’altro che piacevoli come i punti dell’episiotomia (il piccolo taglietto che talvolta viene operato per facilitare la fuoriuscita del bimbo e che richiede poi una sutura) o quelli del taglio cesareo possono essere fonte di stanchezza e di disagio, far sentire la neomamma non al cento per cento quando si occupa del suo bambino e quindi inadeguata;
    • l’improvviso cambiamento ormonale che irrompe appena dopo aver partorito: non solo il corpo della neomamma deve affrontare una fase di ritorno alla situazione ormonale precedente al concepimento e alla gravidanza, ma deve anche attivarsi per avviare l’allattamento al seno. La produzione di numerosi ormoni (come estrogeni e progesterone) non possono che influire sulla stato d’animo della donna, causandole quegli sbalzi d’umore e quei malesseri tipici anche della sindrome premestruale;
    • la tensione psicologica legata al nuovo ruolo di mamma: l’aumento delle responsabilità per la presenza di una nuova creatura bisognosa e totalmente dipendente dal nostro accudimento può accentuare la sensazione d’inadeguatezza, producendo sconforto, ma anche ansia e stress;
    • il vedersi ancora “diverse”: nonostante il parto, ci si ritrova spesso con misure nuove (quelle del seno e del girovita) che non consentono di rientrare nei vestiti acquistati prima della gravidanza, rendendo ancora più complicato il riconoscersi nella nuova veste di mamma;
    • lo sperimentare una nuova dimensione di coppia: ora che si è in tre bisogna collaudarsi anche come famiglia, ma questo richiede ulteriori energie e disponibilità per ricalibrare il rapporto con il partner. Se a queste cause si aggiunge anche la discontinuità del sonno del neonato, che certo non agevola il riposo e il recupero delle energie nelle mamme, è più che comprensibile lo stato di disagio vissuto da molte donne nel periodo del baby blues.

     

    Come si supera

     

    Comprendere le ragioni del malessere che si sta vivendo e collocarlo nella sfera della normale fisiologia del puerperio, non significa però minimizzarlo. Nei giorni in cui si vive questo particolare stato fisico e psicologico non è necessario un intervento medico o specialistico, ma è legittimo esprimere il proprio disagio, qualsiasi esso sia, e chiedere supporto.
    Non devono infatti prevalere il timore di essere giudicate delle “cattive” madri o la pressione di aspettative sociali fasulle, che inducono a credere che l’arrivo di un bambino debba essere accompagnato nella neomamma solo da sentimenti positivi e gioiosi. Tentare di nascondere il proprio vero stato d’animo non farebbe che complicare la situazione, meglio accettarlo e chiedere aiuto a chi è vicino. I papà saranno dunque fondamentali nel fornire comprensione e supporto pratico, ma anche le madri, le sorelle o altre figure femminili avranno un ruolo cruciale nell’offrire ascolto e nel dare una mano per sollevare la neomamma dalle incombenze pratiche che sembrano diventate insormontabili. Per superarla al meglio, comunque, sono sempre validi anche altri suggerimenti come fare movimento, prendersi cura di sé e non trascurare la vita di coppia.

     

    Se dopo la quarta/sesta settimana il disagio, invece di scomparire, si dovesse accentuare è opportuno rivolgersi a uno specialista, poiché potrebbe trattarsi di una vera e propria depressione.

     

    Può colpire anche i papà?

     

    Alcuni studi sostengono che anche i neopapà possono essere colpiti da una forma di depressione post partum, che si manifesterebbe con forme depressive, più o meno lievi. Ad aumentare il rischio di pensieri negativi sembrano essere soprattutto la carenza di sonno, l’eccessiva stanchezza, i cambiamenti nella vita di coppia e il senso di responsabilità legato al nuovo ruolo di padre. Insomma, cause vicine a quelle sperimentate dalle neomamme.

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